giovedì 30 dicembre 2010

Street art o vandalismo?

Londra, Parigi, Lisbona, tre capitali europee molto differenti per cultura, storia e temperamento, ma tutte incredibilmente immuni da quel fenomeno che, invece, sembra spadroneggiare incontrastato nelle nostre città, riempiendo di scritte e graffiti i muri di edifici pubblici e privati, i bordi dei cavalcavia, le carrozze di treni e metropolitane: street art, così lo chiamano i loro autori.


A mio avviso occorre distinguere la vera street art dal semplice imbrattamento di muri e facciate con scritte e disegni di dubbio gusto artistico. La street art, come movimento artistico spontaneo, particolarmente diffuso in Inghilterra, Spagna e Italia, affonda le sue motivazioni iniziali nella ricerca della sovversione, nella volontà di esprimere una critica all'arte tradizionale o addirittura, per alcuni writers, nel tentativo di abolire la proprietà privata con l'uso personale di luoghi pubblici, come strade e piazze. Altri, più semplicemente, vedono i muri e le strade delle città come un posto in cui poter esporre le proprie creazioni ed esprimere la propria arte, offrendola ad un pubblico più vasto di quello delle tradizionali gallerie d'arte. Ma la libertà di espressione artistica non può spingersi fino al punto di sacrificare la libertà e il diritto di ogni cittadino a non vedere deturpate con scritte e murales luoghi e beni pubblici e privati. All'estero, è vero, vi è maggior rigore e attenzione nella difesa del patrimonio pubblico, una difesa che coinvolge direttamente ciascun cittadino, che spesso collabora con le autorità di polizia segnalando e denunciando gli abusi, una collaborazione che purtroppo è ancora scarsa in Italia.


Io personalmente considero la street art come il movimento di arte più importante a cavallo di questi due secoli.



Ogni writer, indipendentemente da dove proviene, ricerca e studia la propria evoluzione personale, per raggiungere un certo stile, così da distinguersi dagli altri ed essere maggiormente notato.
L'obiettivo che ogni writer si propone è raggiungere una certa 
famaall'interno del mondo dei graffiti, e far conoscere il proprio nome a chiunque; per questo è di fondamentale importanza la visibilità delle opere, ottenuta spesso grazie alla imponente presenza di tag(firme).
Oltre alla fama vi è un altro elemento: la soddisfazione personale di vedere la propria opera in un contesto urbano, al di fuori dagli schemi che il sistema impone.

La tag è lo pseudonimo di ogni graffitista, una specie di alter-ego. La tag viene scelta dal writer , partendo, per esempio, da giochi di parole, o semplicemente scegliendo la parola che più lo rappresenta.
La tag corrisponde quindi in tutto e per tutto ad una firma.

Con la tag ogni writer segna la propria zona, la zona in cui lui realizzerà le proprie opere, così che gli altri writer non possano "portargliela via".

Da quando esistono i graffiti i pensieri si dividono tra chi vuole che la città resti pulita da ogni tipo di scritta e tra chi invece ha reso disponibili zone urbane, così che i graffitari possano esprimere la propria arte.
Per esempio ci sono comuni che organizzano manifestazioni e rendono disponibili spazi per realizzare le loro opere, che in alcuni casi non possono non essere considerati opere d'arte vere e proprie.



La Street Art è il nome dato dai media per comprendere quelle forme di arti che si manifestano in luoghi pubblici.
Ogni artista che pratica Street Art ha delle motivazioni personali, che possono essere varie. Alcuni la praticano come forma di sovversione, critica o come tentativo di abolire la proprietà privata, rivendicando le strade e le piazze; altri invece vedono le città come un posto in cui poter esprimere le proprie emozioni ed esperienze, la propria arte attraverso le loro creazioni. La Street Art infatti vanta un pubblico vastissimo, spesso più ampio di quello di una tradizionale galleria d'arte.

lunedì 27 dicembre 2010

Illusioni Ottiche di Julian Beever


Julian Beever  è un artista britannico.
Beever crea disegni trompe-l'œil con il gesso su pavimenti e marciapiedi dalla metà degli anni novanta. Le sue opere vengono create utilizzando una proiezione chiamata anamorfosi per creare l'illusione tridimensionale quando viene visto da una determinata angolazione. È soprannominato Pavement Picasso.
In Italia potrebbe essere definito un madonnaro anche se risulta veramente difficile accostarlo all'arte dei madonnari tradizionali.



L’immagine riesce a creare una discordanza tra la prospettiva dell’ambiente e quella apparente dell’opera ingannando la percezione del nostro occhio.
Queste pitture hanno la capacità di riuscire a sorprendere ogni volta che le si guarda.






giovedì 23 dicembre 2010

Banksy, genio o vandalo?

Gli Street Artists sono sempre stati colpevolizzati di essere lo specchio del declino della società moderna avendo per la gente una sola funzione, quella di imbrattare strade e muri.
Per questa ragione Banksy decise di non aspettare che il mondo dell’arte lo scoprisse, e portò i suoi lavori direttamente da lui. Nel 2003 infatti, si infiltrò come un comune visitatore al British Museum di Londra e appese ai muri, tra i capolavori dell’arte, alcune delle sue creazioni, fra le guardie distratte e visitatori perplessi. Attirò su di se l’attenzione dei media in un colpo solo, e fu l’inizio del suo successo.




La stampa e i giornali cominciarono a conoscerlo. Il pubblico lo amò; anche perchè non serve una profonda conoscenza dell’arte dei writing per capire Banksy, lui comunica in silenzio attraverso il media popolare per eccellenza: il muro.
Il suo vero nome non è noto (Banksy è ovviamente uno pseudonimo), ma i suoi lavori sono di certo la sua firma inconfondibile. Tra le sue famose vandalizzazioni c’è una cabina del telefono, presa dalle strade di Londra, tagliata, spezzata e lavorata in studio e ricollocata nella City. Guardata per giorni con sospetto dagli inglesi, l’atto vandalico fu venduto all’asta da Sotheby’s per quasi mezzo milione di sterline.
Banksy lavora soprattutto con gli Stencils, che crea nel suo studio e che riproduce nei muri delle città, da Londra a New York. Agisce nel silenzio della notte per far apparire col sorgere del sole un nuovo atto di protesta, un poliziotto che perquisisce una bambina o ragazzini che giocano a palla con un cartello di divieto dell’uso dei palloni; tutte critiche sia all’Inghilterra schiava della CCTV (servizio di sorveglianza) che alle false icone, alla polizia, alla sudditanza e a tutto quello che ai giorni nostri non fa usare più la propria iniziativa.

Fu lui a vandalizzare la statua di Boudicca, sempre a Londra, mettendo delle finte ganasce alle ruote della carrozza, multando cosi la statua per parcheggio abusivo, (nota dolente per gli inglesi che approvarono il gesto).
Nella mostra del 2009 a Bristol ha raccolto tutta la sua vena critica verso la società: ha fatto stampare un milione di sterline in pezzi da £10 con l’immagine di Lady Diana al posto della regina sconvolgendo la folla e ha scioccato con l’installazione dei chicken Mc Nuggets in un’aia, o i pesciolini nella vasca come dei bastoncini di pesce, in un mondo dove i bambini non hanno più contatto con i cuccioli ma tanta con i fast food.



lunedì 20 dicembre 2010

Raul Zito e i bambini brasiliani



Un altro interessante personaggio della scena artistica “urbana” contemporanea che si è fatto notare ultimamente grazie ai suoi lavori fotografici riprodotti su grande scala e poi incollati sulle facciate di svariati muri, palazzi e  ruderi di vario genere. Stò parlando di Raul Zito, aritsta Brasiliano.L’effetto scenico e la carica emotiva dei suoi lavori non sono niente male e l’aver concentrato la sua attenzione sui bambini che affollano i quartieri delle grandi città brasiliane non lascia l’osservatore totalmente indifferente, al contrario, il sorriso a trentadue denti di questi ragazzetti che sembrano divertirsi nonostante non appartengano alle classi agiate della società è qualcosa che fa riflettere.







lunedì 13 dicembre 2010

Blu, lo strano caso del murales censurato

L'artista ha visto cancellare il murales appena realizzato a Los Angeles: era inappropriato. Ed è scattata la polemica sulla libertà d'espressione





Blu, il grande artista murale marchigiano viene chiamato dal Moca (il grande museo di arte
contemporanea di Los Angeles) per illustrare uno dei suoi muri, in occasione di una mostra dedicata alla street art prevista per il 2011. Solo un giorno dopo la conclusione dei lavori, il Moca cancella tutto.

Cos'è successo? Ci è voluto un po' prima di avere una giustificazione ufficila della decisione, che suona così: 

Il Museo d'Arte contemporanea è collocato in un luogo storico, speciale. Davanti al muro nord [quello affrescato da Blu, ndr] c'è il Go for Broke Monument, che commemora il ruolo eroico dei soldati americani giapponesi che combatterono in Europa e nel Pacifico durante la seconda guerra mondiale; e davanti a quello sud c'è l'ospedale dei veterani di Los Angeles. Il direttore del museo ha spiegato a Blu che in questo contesto, dove il Moca è un ospite della comunità giapponese in America, il lavoro è risultato inappropriato.


In effetti, Blu ha disegnato una serie di bare da morto coperte da banconote invece della classica bandiera d'onore. Un'opera di grandissimo impatto ma anche un po' controversa, almeno a prima vista – sebbene le intenzioni di Blu non fossero certo quelle di infangare la memoria dei morti di guerra.


Il direttore del Moca, Jeffrey Deitch, ha poi invitato nuovamente Blu a Los Angeles per realizzare un altro murale – qualcosa “ che invitasse le persone a entrare”. Netto il rifiuto dell'artista, che ha motivato le sue intenzioni in una lettera, fotografo della street art newyorkese. 

Nel dettaglio, Blu ha specificato di 
non aver ricevuto richieste di bozzetti e di avere lavorato nella massima libertà espressiva. L'opera è stata cancellata da Deitch al momento del suo ritorno in città dopo una fiera, proprio mentre Blu stava per ultimarla. 

Una volta tornato in Italia, l'artista ha ricevuto un'email dal direttore che lo pregava di firmare un documento dove spiegava i motivi della cancellazione, “ 
al fine di calmare le accuse di censura”. Blu si è rifiutato, sostenendo che a sua volta si sarebbe trattato di “ auto-censura

Conclusione della lettera: okay l'interpretazione di Deitch, che però non era l'unica, ed è stata presa senza aver avuto alcun reclamo ufficiale. 

Reazioni? Diverse. Il pubblico non sembra aver gradito molto, visto che a Los Angeles è apparso un poster raffigurante Deitch alle prese con un “rullo censore” di vernice bianca. Da tutto il dibattito, ciò che ho notato sono le difficoltà di portare la street art in un contesto da museo. […] Un museo non può commissionare della street art. Possono commissionare arte pubblica da parte di artisti di strada, il che è diverso. […] 

Blu ha detto di essere stato censurato. Rispetto Blu per non essersi inchinato alle preoccupazioni di lavorare per un museo, e di non essersi “auto-censurato”: ma l'arte pubblica comprende proprio ciò che Blu chiamerebbe “auto-censura”. […] 

Era una decisione difficile ma senz'altro nei diritti di un curatore e direttore di museo. Non è stata la decisione che speravo, e dubito fortemente che anche Deitch ne sia stato felice, ma può essere stata la mossa giusta per l'esibizione e – cosa più importante – per il museo in quanto tale. 
E conclude, saggiamente: 

Non importa quanto ci proviamo o quanto speriamo che non sia vero: le istituzioni non sono le strade.


Già. La sensazione è quella di trovarsi in una di quelle 
situazioni davvero limite, dove collidono elementi quali la libertà d'espressione, l'arte di strada, il politically correct che ogni situazione museale impone, e la tipica angoscia americana per chi sfiora la bandiera a stelle e strisce. Le buone ragioni di Deitch e le buone ragioni di Blu non sono soltanto contrapposte, ma probabilmente irriducibili: è quello che succede quando il mainstream vuole farsi un po' underground, e l'underground essere legittimato dal mainstream. 

A conti fatti, resta 
solo un po' d'invidia per quei fortunati che, per un giorno soltanto, sono riusciti a godersi il panorama di bare di Blu – qualunque cosa significhi, censura o meno, dibattiti sull'arte o meno.


giovedì 9 dicembre 2010

L'ironia di SpY

SpY è un artista di Madrid, che ama sperimentare con la città urbana. Osserva la città che lo circonda e ci aggiunge un suo tocco unico e divertente. Crea ciò che lui chiama "invenzioni". Il contesto gioca un ruolo di fondamentale importanza in ciascun pezzo, "sono delle piccole differenze nascoste dietro l'angolo della strada per chiunque voglia farsi stupire".
Aggiunge un tocco di ironia e humour ai segnali stradali, alle strisce pedonali, ai cartelloni pubblicitari. Il suo messaggio altruistico fa eco al lavoro di Banksy.







lunedì 6 dicembre 2010

Obey & Revolution

Frank Shepard Fairey, meglio conosciuto come Obey, è un artista contemporaneo americano.
La sua produzione artistica in serie inizia nel 1989 sui muri di Rhode Island, per poi diventare un vero e proprio fenomeno globale. Oggi, dopo quattordici arresti, diversi processi e fughe a perdifiato, Shepard Fairey è uno degli street artist e designer più quotati degli Stati Uniti, le cui opere sono esposte in prestigiose collezioni museali, come il New Museum of Design di New York, il San Diego Museum of Contemporary Art, il Museum of Modern Art di San Diego e il Victoria & Albert Museum di Londra.

Classe 1970, Fairey, comincia a disegnare i primi stencil e adesivi punk per skateboard alle scuole superiori, fino a quando rivaluta il concetto stesso di adesivo, inteso come mezzo di espressione personale, anziché modo di rappresentare una band, un’azienda o un movimento.
La sua esperienza artistica inizia con la produzione del suo primo sticker, dedicato ad Andre the Giant, lottatore di wrestling di origine francese, in quel momento all’apice della carriera: il suo volto è trasformato rapidamente in un ritratto stilizzato, è Andre The Giant Has a Posse, corredato da un’inquietante scritta in stampatello “OBEY”.

Nel manifesto redatto nel 1990, Fairey spiega la campagna sticker OBEY come un esperimento di fenomenologia heideggeriana, che consiste nel lasciar che le cose si manifestino nella pura ontologia dell’essere, consentendo alle persone di vedere chiaramente ciò che è davanti ai loro occhi. L’adesivo non ha alcun significato in sé, ma esiste solo per indurre la gente a reagire e a ricercare un senso nella vignetta; le diverse reazioni e interpretazioni degli osservatori riflettono la loro personalità e sensibilità. La campagna Obey Giant entusiasma anche critici d’arte: il newyorkese Carlo McCormick, la collega allo strapotere della pubblicità:

“Viviamo in un mondo sovraccarico di pubblicità. Non c’è modo di evitarle quando cammini per strada. [Obey Giant] ti dice di comprare e obbedire, ma non sai che cosa comprare o a chi obbedire. Funziona al livello elementare di catturare l’attenzione delle persone e fargli chiedere cosa sia un segno. Una volta che inizi a chiederti cosa sia quel segno, allora forse puoi iniziare a mettere in discussione tutti i segni”.

Palese ed inquieta fonte d’ispirazione di Obey è il film cult They Live di John Carpenter, in cui il protagonista, tramite degli occhiali speciali, riesce a decodificare i cartelloni pubblicitari che contengono messaggi subliminali.
“Ho creato il progetto Obey per costringere le persone a confrontarsi con se stesse. Ho l’impressione che molti non capiscano che nella vita agiscono come individui obbedienti e disciplinati. Forse i miei poster possono farli riflettere sulla loro condizione. E molti potrebbero non tollerare questa cosa.”

Inevitabile intravedere un senso politico e sociale nelle parole e nelle azioni di Obey. Impegno politico che è diventato palese nel 2008 quando Fairey crea la serie di posters in supporto alla candidatura di Barack Obama, inclusi i ritratto-icona HOPE e PROGRESS, considerati dal critico d’arte Peter Schjeldahl “i manifesti politici più efficaci in USA dai tempi di Uncle Sam Wants You’”.





venerdì 3 dicembre 2010

Cosa significa Banksy?

E' importante non dimenticare che sono tempi rivoluzionari in arte.


C'è una nuova audience, non è mai stato più facile vendere la propria arte se non ora. Non devi andare all'università, andare in giro a "vendere" la tua arte con un portfolio, inviare i tuoi lavori a gallerie o dormire con qualcuno che conta. Tutto ciò che conta è avere una bella idea ed espanderla. E' la prima volta che l'arte non appartiene più alla classe borghese, ma diventa arte del popolo.






Banksy è un artista inglese.
È uno dei maggiori esponenti della Street art. Si sa di lui che è cresciuto a Bristol ma la sua
vera identità è tenuta nascosta. Le sue opere sono spesso a sfondo satirico e riguardano argomenti come la politica, la cultura e l'etica. La tecnica che preferisce per i suoi lavori di guerrigliaart è da sempre lo stancil, che proprio con Banksy è arrivato a riscuotere un successo sempre maggiore presso street artists di tutto il mondo. I suoi stencil hanno cominciato ad apparire proprio a Bristol, poi a Londra, in particolare nelle zone a nordest, e a seguire nelle maggiori capitali europee, notevolmente non solo sui muri delle strade, ma anche nei posti più impensati come le gabbie dello zoo di Barcellona. Nonostante la recente fama mondiale, e le notevoli quotazioni delle sue opere, Banksy continua a rimanere fuori dallo starsystem e a preferire la sua arte in mezzo alla gente comune.





lunedì 29 novembre 2010

Ivan Olita, il progetto "Identità Sociale"

Migliaia di giovani hanno prestato il proprio volto e indicato il loro status per la grande opera di Ivan Olita noto per le sue partecipazioni televisive - Sanremo, I liceali, All Music - e dall'indiscusso talento artistico.


Con questo progetto, denominato "Identità Sociale", con il patrocinio del Comune di Milano, Ivan Olita intende - come riporta Affari Italiani - "mostrare alle persone come sarà il mondo di domani: un mondo in cui i nostri desideri, le nostre preferenze e i nostri pensieri saranno mostrati, proprio come ora facciamo sul web, anche nella vita reale attraverso supporti digitali avanzatissimi".


"Con la nascita dello status update i 15 minuti di popolarità di Wharol sono diventati infiniti. IS è un'operazione pubblica che vuole indagare l'avvento dello status update nella nostra quotidianità. In che modo si sta evolvendo il nostro modo di comunicare? Lo status update può essere considerato un odierno status symbol? Abbiamo invaso Milano con stimoli interattivi sotto forma di cartelli volti ad interrogare i passanti e a renderli protagonisti del nostro progetto. Ci siamo poi riproposti di creare una mappatura di visi abbinati a status per rappresentare l'identità sociale della contemporaneità nella quale viviamo. Ad oggi, abbiamo raccolto i ritratti di 2000 persone. A fine progetto tutti i visi con le relative dichiarazioni verranno affissi per la città. Ognuno rappresentativo della propria Identità. Tutti rappresentativi del nostro vivere Sociale. E tu? "